Dott.ssa Valentina Giannella Psicologa e Psicoterapeuta Milano e Arese
Chicche, aneddoti e curiosità sul mondo Psi e su chi ne ha avuto esperienza. Buona lettura!
Alessandro Gassman ha sofferto di ansia e attacchi di panico che, grazie ad un percorso di Analisi Transazionale, ha risolto in due anni. Ne parla a Le Invasioni Barbariche con Daria Bignardi e in numerose interviste reperibili nelle maggiori testate giornalistiche. Di seguito un articolo di giornale e l’intervista completa.
Se un sintomo viene a farti visita, non ti spaventare: può succedere e ci sarà di certo un motivo alla base. Anche in un mondo dorato, in cui tutto sembra rosa e fiori, le difficoltà psicologiche trovano spazio. In questo articolo una carrellata sulle star hollywoodiane, che hanno sviluppato (o slatentizzato?) sintomatologie psicologiche e psicosomatiche.
Forse non tutti sanno che, i più celebri casi clinici a cui si è interessato Sigmund Freud, le cui stesure sono perlopiù note grazie alla sua firma, raccontavano di pazienti in cura dallo psichiatra austriaco Josef Breuer. Anna O., per esempio, Freud non l’aveva mai incontrata ne tantomeno conosciuta, se non attraverso le parole del dottor Brauer.
Sigmund Freud amava destreggiarsi in cucina, inventare nuovi piatti che, simpaticamente, intitolava con nomi rivisitati delle sue famose teorizzazioni o dei casi su cui scriveva. Ecco una ricetta estrapolata dal libro “La cucina del Dottor Freud”, curato da James Hillman e Charles Boer. Qui Freud descrive il fantasioso e riuscito lavoro terapeutico avvenuto in cucina, tra Breuer e la paziente.
Bananna O.
Il vero nome di Anna O. era Bertha Pappenheim, un nome che a mio avviso mancava di grande tenue, salvo che non appartenesse a un elefante. E’ perfino superluo aggiungere che i pazienti di un analista famoso devono assolutamente avere un nom de couche affascinante (se non mi fossi chiamato Freud il nome che avrei scelto per me sarebbe stato Gioia). Nome este
La cucina del dottor Freud
omen. Il pubblico non avrebbe certo mai preso a cuore il caso di una Bertha Peppenheim qualsiasi, nè tantomeno il caso di un Sergius Pankejeff. Invece, “Anna O.” e “L’Uomo dei lupi”, che nomi vincenti e avvincenti!
Anna O. soffriva di tutti i sintomi isterici possibili e immaginabili, ivi compresa l’incapacità di mangiare altro che arance. Inoltre, possedeva due personalità, una normale e l’altra, come avrebbe detto Jones, “cattiva”. Breuer, del quale lei era una paziente, andò a visitarla un giorno a casa sua e scoprì che facendole semplicemente descrivere i suoi sintomi, se ne liberava.
“Non posso mangiare”, disse lei.
“Ah!” rispose lui pazientemente. “E da quanto tempo dura questo?”.
“Accidenti, ho fame!” lei replicò all’improvviso, e prese a concupire una banana intravista nella sacca da picnic di lui.
Breuer dapprima rimase incerto sul carattere di questa manifestazione. Faceva forse parte della personalità cattiva di Anna? (Ho descritto altrove la sua gravidanza isterica, dove Breuer appariva nella parte del padre isterico: vedi “Manzo stufato di Josef Breuer”).
Però vivere est cogitare, e Breuer ebbe un’idea.
“Suvvia, Anna O., venga con me in cucina, e prenda con sè anche quella banana. Se non sbaglio conosco un modo di cucinarla che non solo appagherà il suo inesistente appetito, ma la libererà per sempre da quelle coliche femminili”.
(Breuer, bisogna ammetterlo, ci sapeva fare con le donne. Quando Martha ironizzava sulle mie pazienti donne che si innamoravano di me, io mi difendevo rispondendole: “Impossibile, mia cara, non sono Breuer io, purtoppo”).
Quando furono entrambi in cucina, egli chiese ad Anna O. di sbucciare la banana, poi di tagliarla nel senso della lunghezza. Lei non solo obbedì, ma continuò facendola friggere in padella con due cucchiai di burro fuso, e aggiungendo poi due cucchiaiate di liquore di banana e due di rum. Nel frattempo mise in due coppe del gelato di vaniglia, vi appoggiò sopra le fette di banana e le cosparse col burro fuso rimasto. Una coppa era per Breuer, l’altra per lei.
Mentre la gustava, un cucchiaino dopo l’altro, si poteva leggerle in faccia, così Breuer raccontò, la felicità e la soddisfazione che fino allora, in quanto donna, la vita le aveva negato.
Grazie ad Anna O., il nostro arsenale psicoterapeutico si era arricchito di un nuovo metodo, la talking cure, la cura con le parole. Purtroppo sfuggì ai miei successori che le parole che curavano venivano dette in cucina: la banana di Anna O. non fu mai sublimata in un discorso per esempio, nè fu ridotta al suo significato simbolico, cioè il fallo del dottor Breuer. A volte, una banana è soltanto una banana.
Eppure non potevamo chiamare questa nuova creazione culinaria semplicemente “La banana di Anna O.”. Quindi dopo aver a lungo meditato oltre la mezanotte (e dopo essermi alzato alle sei, aver fatto colazione alle sette, aver avuto il primo paziente alle otto, fatto la mia passeggiata a mezzogiorno, il pranzo all’una, ascoltato il nono paziente alle diciotto, cenato alle diciannove, giocato a carte con Minna alle venti e sbrigato la mia corrispondenza dalle ventidue in poi), diedi infine a questo squisito dessert il nome di “Bananna O.”. E’ questo, e solo questo, che fa la differenza.
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